Teologia della Devozione del Sacro Cuore di Gesù – 2

Teologia della Devozione del Sacro Cuore di Gesù

Orientamenti odierni

di Francesco Pignatelli

CAPITOLO II

SVILUPPI STORICI TEOLOGIA DEL SACRO CUORE

 

Una devozione, in quanto forma concreta in cui la fede è vissuta, predicata, esercitata in un determinato contesto storico è, per molti aspetti, il frutto di una «invenzione», di una «intuizione spirituale»; ciò basta ad escludere che quella forma concreta possa essere semplicemente dedotta da evidenze teoriche; ma non basta ad escludere la possibilità di un discernimento riflesso alla luce di criteri offerti della tradizione universale della Chiesa. Se la vita di fede si esprime in piani diversi e con linguaggi diversi, la teologia assolve il suo compito di esplicitazione ed esposizione metodica e critica della prassi di fede e del suo linguaggio.

2.1 Storia della Teologia della devozione al Sacro Cuore

2.1.2. Gli inizi della riflessione

Fra i primi tentativi di dare un fondamento teologico alla devozione del Cuore di Gesù troviamo l’opera di J. Croiset (1656 – 1738) di F. Froment (1649 – 1702) [61] e soprattutto di J. De Galliffet (1663 – 1749). Quest’ultimo, in particolare, connettendo strettamente la devozione alle apparizioni di Paray-le-Monial, di cui si dilunga a provarne l’autenticità, determina in questo modo la natura del culto: Cuore adorabile di Gesù significa, in senso immediato, il cuore di carne, non considerato separato dalla sua persona divina; significa poi l’amore di Gesù per il Padre e per gli uomini. I due aspetti del culto vengono però strettamente collegati in base alla intima partecipazione del cuore alla vita affettiva. Purtroppo, invece di metterne in evidenza il simbolismo naturale che unisce il cuore all’idea di amore, il Gallifet preferisce insistere su una concezione derivante dalla cultura e dalla ricerca scientifica del tempo – in realtà già allora discutibile -, secondo cui il cuore sarebbe principio e sede delle virtù ed in particolare dell’amore, e ne descrive le funzioni in termini che equivalgono a dire che esso è l’«organo dell’amore» [62] . Queste ed altre simili concezioni che pretendevano fondare su una base filosoficoscientifica il culto come tale, saranno la ragione della opposizione che la causa a favore del culto pubblico al Sacro Cuore incontrerà presso il promotore della fede Prospero Lambertini, il futuro Papa Benedetto XIV [63] e, reiteratamente, troveranno l’opposizione del magistero ufficiale della Chiesa con Pio VI, nella Bolla Auctorem Fidei, del 1794 – a cui si è già accennato -, Leone XIII, nell’ enciclica Annum Sacrum del 1899 [64] , e Pio XII [65] .

Il 25 gennaio 1765 la Congregazione dei Riti emette il decreto di approvazione del culto liturgico del Sacro Cuore, precisando espressamente, però, quale ne fosse l’oggetto: il cuore in quanto simbolo dell’amore. Dopo questa chiarificazione, solo i giansenisti,     continueranno a mantenere aperto un fronte di opposizione contro la devozione. Sull’argomento essi insistevano trattarsi di un cuore metaforico, non reale, ed accusavano, quindi, di idolatria il culto al cuore di carne. A queste affermazioni Pio VI risponde notando che si adora il cuore, ma inseparabilmente unito alla Persona del Verbo [66] . Ad ogni modo, sino alla data dell’approvazione romana del culto, non troviamo nuove opere teologiche di rilievo sulla devozione, anche se v’è una cospicua produzione che riprende in maniere più o meno originale la dottrina del Gallifet. Menzione a parte merita l’operetta ascetica di sant’Alfonso Maria De’ Liguori, la Novena al Sacro Cuore, non solo – come si è detto – per il notevole contributo da essa apportato alla diffusione della devozione tra il popolo, quanto soprattutto per la densa introduzione dove il santo, tra l’altro, suggerisce assai opportunamente di abbandonare il principio assai dubbio, che il cuore sia comprincipio sensibile e sede di tutti gli affetti e specialmente dell’amore [67] . A sant’Alfonso, dunque, spetta il merito di aver raccolto le critiche su questo punto e di aver indicato tra i primi il modo in cui superarle. Questa tesi sarà esposta in maniera sistematica, agli inizi del XIX secolo, dal gesuita Alfonso Muzzarelli [68] .

2.1.2 L’oggetto del culto verso una definizione sintetica

Nel 1842, un altro gesuita, Giovanni Perrone (1794 – 1876) sarà il primo ad inserire la devozione al Sacro Cuore, tematizzandola teologicamente, nel trattato «De Verbo incarnato» [69] . Inizia così uno sforzo di chiarificazione dei concetti che però comporterà nello stesso tempo, in molti casi, una indebita riduzione della dottrina del Sacro Cuore alla questione dell’oggetto della devozione, con una eccessiva preoccupazione di far rientrare la determinazione precisa di esso in schemi prestabiliti e troppo angusti, quali, ad esempio di oggetto materiale ed oggetto, o motivo, formale. La polemica antigiansenista ancora ha una parte notevole nella trattazione. Questa insiste sul cuore fisico del Cristo di cui parla ancora in termini di organo o strumento precipuo degli affetti, anzi, sede di essi [70] .

Tuttavia è dalla manualistica che, a partire da questo periodo in poi, proviene un cospicuo contributo: soprattutto dai teologi di professione come, ad esempio, J. B. Franzelin [71] . In queste opere, in latino e dirette ad un pubblico limitato, predomina l’assillo di trovare una sistemazione soddisfacente in termini «scolastici» dei vari elementi che compongono l’oggetto del culto, in modo da ridurre il tutto ad un’unità coerente e, soprattutto, ci si chiede se includere o meno l’amore increato di Cristo nell’oggetto del Culto, poiché per alcuni, primo tra i quali Artur Vermeersh [72] , questo costituisce solo l’oggetto improprio, indiretto e remoto, introdotto per motivi estranei al simbolismo. Altri, tra cui J. V. Bainvel [73] ,     E. Agostini [74] e V. Carbone [75] – per citare i più rappresentativi -, sono favorevoli: c’è armonia fra i due amori – umano e divino -, nell’unica persona del Verbo incarnato, per cui si può dire che il Cuore di Gesù emerge a simbolo anche della carità increata che muove e dirige quella creata.

  2.1.3 «Cor ethicum»

Parallelamente alle discussioni sopra riportate viene tematizzata la cosiddetta teoria del «cuore etico». Nel 1909, H. Noldin, dell’università di Jnnsbruck, pubblica postumo lo studio di T. Lempl, Das Herz Jesu. Eine Studie über die verschiedenen Bedeutungen des Wortes «Herz»… [76] . Quest’ultimo, dopo aver studiato l’uso del termine «cuore» nella Bibbia e presso le lingue moderne, conclude che oltre al senso metaforico (l’amore) ed al senso proprio ma ristretto (il cuore corporale), la parola «cuore» riveste ancora un senso più ampio indicando il «principium fontale et subiectivum vitae interioris moralis». Secondo Lempl questa teoria assicura meglio l’unità del soggetto della devozione, pur salvaguardando gli elementi essenziali della devozione. Così, dunque, questa nuova – eppur antica – concezione ha il vantaggio di sottolineare che, il «cuore etico», tutta la vita interiore di Cristo rientra nell’oggetto del culto.

2.1.4 L’enciclica «Haurietis Haquas»

Tra il ’20 ed il ’56, sono rintracciabili nella produzione teologica segni di cambiamento. In questo periodo vengono poste le premesse di un rinnovamento e di un allargamento di orizzonte che avranno la loro sistematizzazione e messa a punto nell’enciclica di Pio XII HA, il più importante documento del magistero sulla devozione. Le spinte maggiori verso un rinnovamento e ripensamento della teologia della devozione provengono – come già accennato – da studi biblici e patristici. L’ HA ne raccoglierà l’istanza fondamentale, conscia che molte delle opere teologiche precedenti erano quasi tutte alquanto carenti sotto questo aspetto [77] . Fra i primi autori che si inseriscono in questo solco con dei contributi specifici possiamo indicare H. Monier – Vinard [78] e J. M. Bover [79] in campo biblico, C. G. Kanters [80] e soprattutto H. Rahner [81] , per la patristica. L’enciclica HA, nell’intento di formulare una risposta su come giustificare un culto speciale al Cuore di Cristo, non affronta tanto il problema dell’adorazione, risolto – ribadendo le affermazioni dell’ «Auctorem fidei» di Pio VI – tenendo presente la realtà dell’unione ipostatica, quanto, in una prospettiva teologico – simbolica, quello del simbolismo che decreta la peculiarità del culto. Secondo il documento pontificio l’oggetto integrale del culto ha come referente la persona del Verbo incarnato [82] , generato dal Padre e spirante amore; quindi lo stesso amore della Trinità e quello umano – spirituale e sensibile – di Cristo uomo; la persona concreta intesa in un’accezione immediata e l’ intera vita interiore di Gesù [83] . É il mistero dell’amore divino – umano di Gesù – simboleggiato nel suo cuore: la persona di Cristo Gesù realizza la misura dell’amore pieno, perché esprime il dono che il Padre ci ha fatto del suo Figlio rivelato nella carne [84] , e perché realizza in se stessa la sintesi dell’amore per il Padre e dell’amore per gli uomini [85] .

In merito a questa presentazione dell’oggetto del culto possiamo fare alcune considerazioni conclusive. L’HA prende esplicitamente posizione a proposito della discussione sulla opportunità di includere nell’oggetto del culto l’amore increato di Cristo [86] ; considerando insufficiente il simbolismo naturale, riconosce che «Cuore di Gesù», oltre a designare il cuore fisico di Cristo [87] ,- «parte nobilissima dell’umana natura e quindi ipostaticamente unito alla persona del Verbo» [88] , possiede un significato più ampio, indicando il soggetto della vita interiore, in armonia con l’opinione dei sostenitori del «cuore etico»; e soprattutto vuol deliberatamente superare tutte le concezioni troppo formalizzate e troppo ristrette dei teologi precedenti riguardo alla determinazione dell’oggetto del culto. La prospettiva viene allargata a tutto il Mistero della salvezza [89] secondo gli aspetti suggeriti dal riferimento al Cuore di Cristo, il che costituisce una prospettiva abbastanza nuova e ricca di implicazioni spirituali. Tuttavia aver voluto mantenere l’impostazione tradizionale, concentrando l’ attenzione sul cuore come tale, considerato come cuore di carne – quale «oggetto materiale» del culto; così come il riferirsi all’amore in quanto «oggetto formale» per significare il movimento spirituale indotto dal culto del Sacro Cuore, è stata una scelta ineccepibile per alcuni versi – poiché ha chiarito incertezze e messo fine a diverse questioni disputate -, ma discutibile e poco indovinata per altri [90] . Il chiedersi: – cosa significa il cuore quale organo fisico di un uomo e quindi dell’uomo Gesù? – fuorvia la contemplazione spirituale verso discutibili concezioni fisiologico-psicologiche, e porta a conseguenze pratiche non certo positive. Il discorso teologico che si muove su tale falsariga ed in questi termini non ha presente l’origine ed il linguaggio della devozione, né ne ha compreso il senso.

2.2 Il contributo metodologico di Karl Rahner

Ad un rinnovamento metodologico della teologia della devozione al Sacro Cuore ha offerto un contributo decisivo Karl Rahner [91] .

2.2.1 Urwort e ursymbol

Traendo le conseguenze dalla più ampia riflessione sulla relazione tra teologia e antropologia (ove la teo-logia, rivelazione che Dio fa di se stesso, va oltre l’antropologia, l’umana apertura trascendente verso l’Assoluto, fino a portare l’uomo alla comprensione ed all’amore di quella realtà personale che Dio rivela di essere e ad una nuova percezione della sua stessa natura), Rahner, concepisce il simbolo del cuore nel suo significato antropologico e dimostra che, nella sua trascendenza, esso si apre ad essere usato come simbolo della realtà divina-umana di Gesù: l’uomo leggendo questo simbolo arriva quindi a nuove profondità di conoscenza ogni qualvolta usi tale simbolo riferito a se stesso.

Punto di partenza della riflessione è il considerare il carattere essenziale, primordiale, originario, della parola «cuore»: essa è, appunto, una urwort, una parola primordiale [92] – una parola, cioè, il cui significato non si esaurisce con la definizione letterale ed essenziale – perché il cuore stesso è un simbolo primordiale, un ursymbol. Possiamo accettare il significato verbale e simbolico del cuore come un fatto relativo all’esperienza umana. Ciò che importa è il sapere perché sia così. Per analizzare la base ontologica del fenomeno Rahner si rivolge alla metafisica ed all’antropologia tomista. I simboli primordiali sono simboli che, per loro natura, ammettono la presenza di ciò che è simboleggiato [93] . La base di questo simbolismo primordiale va scoperta nell’essere stesso. L’essere è simbolico per sua propria natura perché ogni essere deve esprimere se stesso al fine di comprendere la sua propria natura [94] .

Rimane la domanda: qual’è il contenuto del simbolo? Quale aspetto – se esiste – dell’essere personale dell’uomo è reso presente dall’uso di questo simbolo? Karl Rahner risponde:

  «(…l’uomo) chiama cuore questa interiorità originaria, fondamentale e unificatrice della sua realtà unitaria, che è corporea e spirituale come egli stesso» [95] .

Tale definizione include due aspetti dell’esperienza che l’uomo ha di se stesso come persona: lo sperimentar-si nella molteplicità di esperienze come unità personale ed il rapportarsi con il mondo in quanto soggetto agente capace di una complessa varietà di atteggiamenti ed azioni. Nel far uso del simbolo del cuore, l’uomo esprime quindi l’unità radicale del suo essere personale. Il simbolo del cuore ha la capacità e la forza di ricapitolare e comunicare la complessità e l’ambiguità dell’esperienza, sia razionale che emotiva, che l’uomo ha di se stesso, della sua interiorità, del suo essere capace di amore e di odio, di bene e di male, di speranza e disperazione.

La riflessione rahneriana dell’urwort, a questo punto appare pertinente in ciò che vuol escludere:

«...non ci si può perciò domandare se, parlando di cuore, intendiamo il muscolo o qualcosa di spirituale. Infatti con questa domanda siamo già fuori della realtà originaria di tutto l’uomo significata dal nostro termine» [96] .

2.2.2 Il Cuore di Cristo

L’uso del Cuore di Cristo come simbolo, è fondato sull’antropologia appena esaminata e, come tale, conseguente all’avvenimento dell’incarnazione. In questo ordine di considerazioni, dev’essere altresì presa in esame l’idea base della cristologia rahneriana ossia far partire la teologia dell’incarnazione da un’idea di uomo che ammetta la possibilità dell’incarnazione attraverso un’unità ipostatica, senza ridurre l’umanità a semplice apparenza o sembianza della divinità. L’antropologia rahneriana riesce a rendere ciò: l’unità ipostatica è una reale, umana possibilità: è uno dei modi in cui la relazione trascendente dell’uomo a Dio – in virtù della quale è potentia oboedientialis – può trovare la sua realizzazione [97] . Tale particolare possibilità è realizzata in Gesù [98] . In questo modo l’autentica umanità di Gesù, conseguenza necessaria della incarnazione, rende comprensibile in pieno il simbolo del Cuore di Cristo. Questo simbolo rappresenta tutta l’umanità di Gesù. Egli come ogni altro uomo, deve ricercare il suo «cuore», deve scoprire l’unità della sua persona. La sua esperienza storica di creatura, l’esperienza limitata di essere umano, la relazione trascendente di questa esperienza con l’Assoluto, insieme con la scoperta di essere persona che conosce ed ama: tutto questo è ricapitolato e reso presente quando ci riferiamo al Cuore di Gesù. Poiché questa condizione umana esiste in Cristo, in un’unità ipostatica con la Parola, essa è allo stesso tempo mediazione del Divino. Il simbolo del Cuore di Gesù, infine, rende presente e si fa mediatore del significato del suo rapporto con il mondo, con l’umanità e con Dio. E come l’umanità di Cristo – mediatore tra Dio e l’uomo –     è una realtà salvifica per noi, così il suo cuore diventa il simbolo che dischiude questo significato salvifico, il suo agire in nostro favore [99] .

2.2.3 Il Cuore di Cristo significato del cuore dell’uomo

Se da un lato, il tentativo di Rahner di fondare la devozione al Sacro Cuore sull’indagine antropologica del cuore pare eccessivo, è tuttavia prezioso l’invito a considerare la devozione al Sacro Cuore nel suo carattere «originario», intendendo tale originalità come irriducibilità a premesse dottrinali. Da ciò deriva un ultima ma non meno importante acquisizione, che Karl Rahner inserisce nell’ermeneutica teologica della devozione al Cuore di Gesù: la riflessione sul nesso cuore – amore.

Dall’analisi del significato antropologico del simbolo del cuore rileviamo che esso è simbolo del centro più intimo della realtà personale dell’uomo, ma che, come simbolo, è altresì ambiguo in quanto può esprimere stati opposti dell’essere e dell’agire, cioè, sia il bene che il male:

«Il termine cuore non significa già amore. Questo centro intimo e corporeo dell’essere umano personale, che confina col mistero assoluto, secondo la sacra Scrittura può essere anche perverso e costituire l’abisso insondabile, nel quale sprofonda il peccatore, che si rifiuta d’amare. Il cuore può restare vuoto di amore e può essere molto periferico ciò che si potrebbe chiamare ancora amore. L’uomo apprende per la prima volta che il più intimo della realtà umana è l’amore (…) soltanto quando egli arriva a conoscere il Cuore del Signore. «Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini»: questa non è un proposizione analitica derivata dal concetto di cuore, ma la conseguenza sconvolgente della esperienza della storia della salvezza» [100] .

L’incontro con il Cuore di Cristo ha dunque conseguenze noetiche per la comprensione che l’uomo ha di sé. Da quest’incontro l’ambiguità presente nel proprio cuore viene sconvolta, poiché la realtà personale di Gesù come uomo simile a noi in tutto tranne che nel peccato è una realtà personale di amore senza odio, di bene senza male, di speranza senza disperazione [101] . La luce, e la nuova comprensione, che il Cuore di Cristo getta sul cuore dell’uomo fonda e crea il nesso cuore – amore così com’è stato recepito e concepito nella devozione al Sacro Cuore. Questo punto d’arrivo è importante perché fornisce alla teologia della devozione le coordinate su cui indirizzare la ricerca. L’odierna devozione infatti non scaturisce immediatamente da un’astratta motivazione dogmatica; né da una riflessione aprioristica sul significato antropologico del simbolo del cuore: è la Rivelazione che ci dà, in ultima analisi, il significato del simbolo del Cuore di Gesù. Insieme, però, è anche necessario l’approfondimento del carattere storico pratico della devozione:

«…questa non può rinunciare ad appoggiarsi alle rivelazioni private di Paray le Monial, oppure, se si vuole, all’accettazione (storicamente occasionata da quelle rivelazioni) della devozione odierna al Sacro Cuore di Gesù da parte della Chiesa attuale» [102] .

Ogni rivelazione privata, infatti, ha il carattere di un imperativo concreto, reso urgente dalla sua rispondenza ad un motivo particolare: è il plus originale della devozione storica che è indeducibile dalla identità essenziale della Chiesa e, relativamente, della fede [103] .

Sottolineando l’importanza e la pertinenza di queste ultime affermazioni, a questo punto, però, non si vedono argomenti persuasivi per la previsione, che Rahner formula, secondo cui…

«…in futuro tale devozione si trasformerà da devozione popolare in una forma di pietà un po’ «esoterica», tipica delle persona radicalmente cristiane; diventerà un’idea chiave (…) della religiosità propria di coloro che, calati realmente in un mondo senza Dio, sapranno, con una decisione personale solitaria, non sostenuta più da alcuna pubblica opinione, credere che il Mistero ineffabile dell’esistenza, da noi chiamato Dio, è loro vicino» [104].

Il carattere elitario pronosticato per la devozione, dev’essere peraltro corretto dall’altra precisazione:

«L’uomo della Chiesa sarà un mistico (…) o non sarà più cristiano» (e dunque comprenderà) «in maniera genuina, addirittura nuova e più radicale, questa devozione» [105] .

Questi indizi sottendono un’equazione – la devozione al Sacro Cuore equivale alla forma interiore ed autonoma di espressione della fede – che è insieme generica e problematica [106] .

2.2.4 L’«esperienza del Cuore di Cristo» come esperienza di grazia

Per concludere, merita nota un’ultima riflessione di Karl Rahner sulla devozione del Cuore di Gesù nella quale emerge la particolare concezione dell’unità del conoscere e dell’essere così importante nel pensiero del teologo tedesco.

Nel Cuore di Cristo Dio ha rivelato che l’unico modo in cui l’uomo realizza la parte più profonda della sua persona è l’amore. Affermando questo, non è possibile rimanere ad un livello puramente noetico: significherebbe ridurre il Cuore di Cristo a un segno: Gesù diverrebbe semplicemente un esempio morale da emulare. Bisogna invece andare oltre ed arrivare ad un livello ontologico. A causa di questo incontro con il Cuore di Cristo, il cristiano deve quindi cercare di rendere il suo cuore – in quanto simbolo reale di quello che vi è in lui di più interiore – nell’essere e nell’agire, conforme al Cuore di Gesù. Ciò sarebbe impossibile se per l’ unione ipostatica, l’umanità di Gesù non rappresenta tanto l’esempio quanto anche lo strumento – attraverso la grazia – di ciò che Dio – nel suo piano di salvezza – chiama l’uomo a divenire [107] .

 


CAPITOLO I. CULTO E SPIRITUALITA’ DEL SACRO CUORE

CAPITOLO II. SVILUPPI STORICI TEOLOGIA DEL SACRO CUORE

CAPITOLO III. CONTRIBUTI ATTUALI DELLA TEOLOGIA DEL SACRO   CUORE

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Note al capitolo II

 

[61] TUCCI, Storia della letteratura…, p. 509 – 512.

[62] Cf HAMON, Histoire de la devotion…, III, p. 389; IV, p. 20; 44; J. V. BAINVEL, Coeur Sacré de Jésus (Dévotion au), in «Dictionnaire de Thèologie Catholique…», III, a cura di A. VACANT – E. MAGENOT – E. AMANN, Parigi, Ed. Letouzey et Anè, 1923, p. 294; TUCCI, Storia della letteratura…, p. 515 – 518.

[63] Cf TUCCI, Storia della letteratura…, p. 509 – 518.

[64] LEONE XIII, Annum Sacrum, ASS 31 (1899), p. 649.

[65] HA, p. 316; 317; 320; 327; 344.

[66] PIO VI, Auctorem Fidei, DS,nn. 2662 – 2663, p. 535 – 536.

[67] Questa concezione sarà dura a morire e se ne discuterà animatamente sino alla fine del XIX secolo: sulla base dei nuovi studi di fisiologia e psicologia sperimentale, J. Jungmann (nel libro Fünk sätze zur Erklärung und zur wissenschaftlichen Begründung der Anonacht zum heiligsten Herzen Jesu und zum reinsten Herzen Mariä, Jnnsbruck 1869)         ne dichiarerà ex professo ed una volta per tutte l’insostenibilità. Dal canto suo, invece, egli metterà l’accento nettamente sull’intera vita affettiva di Cristo designata del termine «cuore» inteso in senso traslato, mentre il cuore fisico resta un elemento secondario e subalterno, come simbolo naturale più adatto ad esprimerla. In qualche modo è in germe la concezione del «cuore etico». Cf TUCCI, Storia della letteratura…, p. 565 – 566.

[68] A. MUZZARELLI, Dissertazione intorno alle regole da osservarsi per parlare, e scrivere con esattezza e con proprietà su la devozione e sul culto dovuto al Sacratissimo Cuore di Gesù Cristo, Roma, Ed. A. Fulgoni, 1806, 118 p.; cf TUCCI, Storia della letteratura…, p. 538 – 540.

[69] J. PERRONE, Praedectiones Theologicae…, V, Roma 1842, p. 310 – 327.

[70] TUCCI, Storia della letteratura…, p. 543.

[71] J.B.FRANZELIN, Tractatus de Verbo incarnato, Torino, Ed. Marietti, 1869, p. 464 – 473.

[72] TUCCI, Storia della letteratura…, p. 581.

[73] J. V. BAINVEL, La dévotion au Sacré – Coeur de Jésus. Doctine et Histoire, Parigi, Ed. Beauchesne, 19174.

[74] E. AGOSTINI, Il Cuore di Gesù. Storia – Teologia – Pratiche – Promesse, Bologna, Studentato delle Missioni, 1950, 456 p.

[75] V. CARBONE, Teologia del Sacro Cuore, Roma, Ed. Studium, [1953], 140 p. (Profili e sintesi, 4).

[76] T. LEMPL, Das Herz Jesu. Eine Studie über die verschiedenen Bedeutungen des Wortes «Herz»…, a cura di H. NOLDIN, Brixen 1909, XIII – 242 p.; TUCCI, Storia della letteratura…, p. 582 – 584.

[77] R. TUCCI, Letteratura recente sulla devozione al S. Cuore di Gesù, «Cv.C.», I, 107 (1957), p. 188.

[78] H. MONIER – VINARD, Le Sacré – Coeur de Jesus d’après l’Ecriture et la Théologie, Tolosa, Ed. Apostolat de la Prière, 1951, 158 p.

[79] TUCCI, Storia della letteratura…, p. 580; 592; per il riferimento bibliografico cf le note n. 261 e n. 306.

[80] C.G. KANTERS, Le Coeur de Jesus dans la littérature Chretienne des douze premiers siécle, Bruxelles – Bruges – Avignone, 1930, XV – 190 p.

[81] TUCCI, Storia della letteratura…, p. 592 – 593; per il riferimento bibliografico cf la nota n. 307.

[82] HA 43.

[83] HA 39.

[84] HA 58.

[85] HA 27. Per l’argomento cf I. FILOGRASSI, De obiecto cultus SS. Cordis Jesu in Litteris Encyclicis Haurietis Aquas, in Cor Jesu, I, p. 97 – 114 (in particolare p. 112 – 114); R. TUCCI, La devozione al Sacro Cuore di Gesù. (Nel centenario dell’estensione della sua festa a tutta la Chiesa), «Cv.C.», III, 107 (1956), p. 344 – 350; B. DE MERGERIE, Rendre un culte au Coeur physique du Christ Rédempteur en tant que symbole de son amour humain et divin, «Esprit et Vie» 84 (1974), p. 441 – 444.

[86] Leggiamo dal documento: «In realtà, questi amori non devono semplicemente considerarsi come coesistenti nell’adorabile Persona del divin Redentore, ma come tra loro congiunti con vincolo naturale, in quanto all’amore divino sono subordinati l’umano spirituale e il sensibile, e questi due ultimi riflettono in sé medesimi la somiglianza analogica del primo. Non si pretende perciò di adorare nel Cuore di Gesù l’immagine così detta formale, cioè il segno proprio e perfetto del suo amore divino, non essendo possibile che l’intima essenza di questo sia adeguatamente rappresentata da qualsiasi immagine creata; ma il fedele, venerando il Cuore di Gesù, adora insieme con la Chiesa, il simbolo e quasi il vestigio della Carità divina, la quale si è spinta fino ad amare anche col cuore del Verbo incarnato il genere umano (…). É necessario tener presente che (…) la verità del simbolismo naturale, in virtù della quale il Cuore fisico di Gesù entra in nuovo rapporto con la persona del Verbo, riposa tutta sulla sulla verità primaria dell’unione ipostatica…» HA 58; cf anche 27; 43.

[87] Menzionato nell’enciclica almeno trenta volte, cf HA 12;       13; 27; 57; ecc… .

[88] HA 12.

[89] HA 43; 28.

[90] BERNARD, La spiritualità del Cuore di Cristo, p.12 – 15.

[91] Per un approfondimento cf M. J. WALSH, The Heart of Christ in the writings of Karl Rahner, Roma, Pont. Univ. Gregoriana, 1977 (Analecta Gregoriana, 205); M. J. WALSH, Il cuore di Cristo e il cuore dell’uomo nel pensiero di Karl Rahner, in Cuore del Cristo: cuore dell’uomo, p. 33 – 48; ed anche G. DE BECKER, Théologie actuelle du Sacré-Coeur, «Divinitas»       19 (1968), p. 174 – 177; TUCCI, Storia della letteratura…, p. 621 – 622; J. H. P. WONG, Logos – Symbol in the christology of Karl Rahner, Roma, Ed. L. A. S., [1984], p. 63 – 65; 263 – 267 (Biblioteca di scienze religiose, 61).

[92] Per la delucidazione di questi problemi nell’analisi dell’essenza dell’ «parole primordiali, originarie, essenziali», cf K. RAHNER, La fede in mezzo al mondo, a cura di E. BALDUCCI, [Alba], Ed. Paoline, [1965]2, p. 139 – 182 (Dimensioni dello Spirito, 62); K. RAHNER, «Ecco quel cuore», in: Saggi di cristologia e mariologia, a cura di A. MARRANZINI, [Roma], Ed. Paoline, [1967]2, p. 257 – 276 (Biblioteca di cultura religiosa, 63); K. RAHNER, Significato teologico della devozione al Cuore di Gesù, in: Missione e grazia. Saggi di teologia pastorale, a cura di E. MARTINELLI, [Roma], Ed. Paoline, [1966]2, p. 805 – 824 (Biblioteca di cultura religiosa, 61); K. RAHNER, Cuore. II. Nella teologia, «Dizionario Teologico», I, a cura di H. FRIES – G. RIVA, Brescia, Ed. Queriniana, [1968]2, p. 421 – 424.

[93] Cf RAHNER, Cuore…, p. 424 – 425. Per RAHNER si tratta di un intimo rapporto causale: ciò che si mostra si pone nella propria essenza e nel proprio esserci, mentre si mostra nel suo aspetto fenomenico differente da sé. Ed il simbolo è pieno di questo fenomeno, notificazione ed esistenza concreta della cosa simbolizzata; cf anche I. SANNA, La cristologia antropologica di P. Karl Rahner, [Roma], Ed. Paoline, [1970], p. 60 (Biblioteca di cultura religiosa, 161). Nel III capitolo, ci soffermeremo ulteriormente sull’argomento con una valutazione d’insieme sulla teologia simbolica rahneriana.

[94] K. RAHNER, Sulla teologia del simbolo, in: Saggi sui sacramenti e sulla escatologia, a cura di L. MARINCONZ, [Roma], Ed. Paoline, [1969]2, p. 66 (Biblioteca di cultura religiosa, 65).

[95] RAHNER, «Ecco quel cuore», p. 267.

[96] RAHNER, «Ecco quel cuore», p. 265. Cf anche RAHNER, Cuore…, p. 428 – 429.

[97] Cf RAHNER, Problemi della cristologia d’oggi, in: Saggi di cristologia e mariologia, p. 3 – 91; M. BORDONI, Gesù di Nazaret Signore e Cristo. Saggio di Cristologia sistematica. III. Il Cristo annunciato dalla Chiesa, [Roma], Ed. Herder – Pont. Univ. Lateranense, [1986], p. 911 – 912.

[98] Tuttavia questa riflessione è perlomeno insufficiente. Se l’incarnazione è realizzazione di questa apertura all’infinito nasce la difficoltà che una simile possibilità possa essere realizzata in ogni uomo. A questa difficoltà Rahner risponde che nell’uomo ciò non si realizza a causa della peccaminosità e della precarietà. Tuttavia, fornendo questa risposta, l’aporia non è risolta logicamente da Rahner poiché egli passa dal piano della possibilità (per fondare la tesi) al piano della realtà di fatto (per escludere la difficoltà). Ci si chiede inoltre: dov’è la gratuità, la novità e la soprannaturalità apportate dall’evento dell’incarnazione del Figlio di Dio, nella presentazione del mistero? É necessario ammettere che, partendo dall’uomo, non si giustifica totalmente il mistero dell’incarnazione. Cf SANNA, La cristologia antropologica …, p. 207 – 219; 325 – 326.

[99] Considerare l’umanità come simbolo del Logos, è una delle principali applicazioni del concetto di «simbolo reale» sostenuto da Rahner; cf SANNA, La cristologia antropologica …, p. 328 – 330; WONG, Logos – Symbol…, p. 113 – 182.

[100] RAHNER, «Ecco quel cuore», p. 269 – 270; RAHNER, Cuore…, p. 428 – 429.

[101] RAHNER, Cuore…, p. 428.

[102] RAHNER, Alcune tesi per una teologia del Sacro Cuore, in Cor Salvatoris, p. 155.

[103] Queste considerazioni trovano il loro contesto di approfondimento nella più generale riflessione di Rahner circa l’elemento dinamico della Chiesa (è il titolo di una sua opera del 1958 – edita in Italia a cura di L. BALLARINI per l’editrice Morcelliana, Brescia, nel 1970). Per una recensione sistematica dei suoi scritti sull’argomento e sui fondamenti della teologia pratica cf B. SEVESO, Edificare la Chiesa. La teologia pastorale e i suoi problemi, Leumann (Torino), Ed. Elle Di Ci, 1982.

[104] RAHNER, La devozione al Sacro Cuore, p. 9 – 10. Su questo tono è anche l’altro articolo Karl RAHNER, Le culte du Coeur de Jésus aujourd’hui, «Vie consacrée», 58 (1986) p. 259 – 272.

[105] RAHNER, La devozione al Sacro Cuore, p. 11.

[106] A tal proposito, Giuseppe ANGELINI, nell’articolo: La devozione al Sacro Cuore. Saggio di riflessione teologico-pratica, «Teologia» 13 (1988) p. 57, fa un breve appunto a queste conclusioni rilevando giustamente che «Karl Rahner, pur avendo progettato un metodo nuovo per la considerazione di questa devozione come di tutti gli altri aspetti storici della Chiesa, di fatto poi non si è interessato in misura consistente dell’ermeneutica effettiva di essa».

[107] Cf RAHNER, Cuore…, p. 428.