Problematiche teologiche dell’esperienza mistica cristiana
di Francesco Pignatelli
Il mistero è Cristo.
In quanto esso è rivelazione di Dio che ama, il mistero è tutta la teologia.
In quanto esso è l’atto di Dio che discende fino all’uomo, è il culto cristiano, mistero di fede.
In quanto esso è l’atto dell’uomo che si assimila a Dio, è tutta la mistica.
E tutta la rivelazione si compie in Cristo, autore e perfezionatore della nostra fede, come dice la lettera agli Ebrei.
Il culto tutto intero si compie nel Sacrificio unico ed eterno, e tutta la mistica consiste nel vivere il Cristo, compimento di tutta la Legge.
Divo Barsotti [1]
1. METODI DI APPROCCIO AL PROBLEMA
1.1 INSUFFICIENZA DI UN METODO PURAMENTE DESCRITTIVO 1.2 È POSSIBILE UNA TEOLOGIA DELL’ESPERIENZA MISTICA? 1.3 IN QUALE PROSPETTIVA ESAMINARE IÌ PROBLEMA 2. L’ESPERIENZA MISTICA CRISTIANA 2.1 DIVERSITA’ O UNIFORMITA’ DELLE ESPERIENZE MISTICHE? 2.2 INCONCILIABILITA’ TRA MISTICA E CRISTIANESIMO? 2.3 RELATIVITA’ DELL’ESPERIENZA MISTICA 2.4 ALLE ORIGINI: IL NT CONOSCE L’ESPERIENZA MISTICA? 3. MISTICA E MISTERO CRISTIANO 3.1 PASSIVITA’ COME CAPACITA’ DI INTIMA ACCOGLIENZA 3.2 MISTICA E MISTERO: FECONDAZIONE E INADEGUATEZZA 3.3 LA TENTAZIONE GNOSTICA 3.4 MISTICA E VITA CRISTIANA 4. LE MISTICHE CRISTIANE 5. CONCLUSIONE: L’ESPERIENZA MISTICA COME PROBLEMA CRISTIANO |
1. METODI DI APPROCCIO AL PROBLEMA
1.1 INSUFFICIENZA DI UN METODO PURAMENTE DESCRITTIVO
Parlando di “mistica” o, meglio, di “esperienza mistica” ci riferiamo a quel momento o livello o espressione dell’esperienza religiosa in cui un determinato mondo religioso viene vissuto come esperienza di interiorità ed immediatezza.
Unità – comunione – presenza, dunque: dove ciò che è “saputo” è precisamente la realtà,”il dato” di questa unità – comunione – presenza: non una riflessione, concettualizzazione, una rappresentazione del dato religioso vissuto.
Abbiamo così da un lato, il senso di indeterminatezza e di ineffabilità dell’esperienza mistica e dall’altro il problema del linguaggio e dei testi mistici, dove quella esperienza ineffabile viene “detta”, comunicata, e perciò mediata e rappresentata dai mistici stessi. Questo comporta, nello studio e descrizione di questo fenomeno – esperienza, l’accettazione della insufficienza di un procedimento puramente descrittivo sia sul piano storico che sul piano psicologico, come fenomenologia dell’esperienza mistica.
1.2 É POSSIBILE UNA TEOLOGIA DELLA MISTICA?
Questo interrogativo pregiudiziale è di ordine epistemologico e fu sollevato da Anselm Stolz nella sua opera Teologia della Mistica del 1937[2]. La questione è se l’esperienza mistica possa essere compresa dalla riflessione teologica per una via diversa da quella della riduzione ai principi dogmatici: solo di questo il teologo può parlare facendo teologia: non del fenomeno come tale o dei risvolti fenomenici e storici dell’antropologia teologica. Il progredire dell’uomo nella sua “conformità” a Dio e nel suo cammino di fede ed il suo “spiritualizzarsi” sotto l’azione dello Spirito Santo sono fatti che trascendono in sè ogni fenomenologia, pur restando per il soggetto la normalità di un’esperienza “transpsicologica”[3]. Tuttavia se è vero che l’esercizio delle virtù infuse e l’attività teologale appartengono ontologicamente e psicologicamente all’ordine soprannaturale; è altrettanto vero che la vita della grazia non resta totalmente nascosta nelle profondità dello spirito. La presenza delle realtà soprannaturali si manifesta in qualche misura sul piano della coscienza, senza che sia possibile, d’altra parte, distinguere riflessivamente il soprannaturale dal naturale. Questa presenza del soprannaturale è però reale, avvertita e sperimentata anche nel caso della mistica propriamente detta[4].
Posto ancora che l’emergere di esperienze propriamente “mistiche” nel cristianesimo sia a suo modo da comprendere entro il rapporto tra “fides quae”, l’oggettività della fede, e “fides qua”, il dono della fede, la teologia non può arroccarsi unicamente sul versante “oggettivo”: non ne coglierebbe integralmente il dato di fede. Per questo non può non domandarsi se, come, a quali condizioni essa possa comprendere tale rapporto e se, facendo questo, essa non raggiunga un vero momento sintetico[5]. Il problema potrebbe risolversi con una distinzione: teologicamente, la vita cristiana e la vita mistica si differenziano solo in linea di gradualità. La grazia è l’elemento comune alle due: più sviluppata nella mistica, più o meno germinale nella vita cristiana. Psicologicamente, la vita del mistico è specificatamente diversa dalla vita del cristiano comune. L’esperienza mistica appare all’anima come qualcosa di specificamente nuovo, come esperienza del mistero. “Sarebbe più esatto parlare – afferma Ermanno Ancilli – di una differenza accidentale di grazie e comunicazioni divine… . La vita cristiana e la vita mistica non si differenziano per le realtà sperimentate, bensì per il modo di sperimentarle”[6].
1.3 IN QUALE PROSPETTIVA ESAMINARE IL PROBLEMA
“Per quanto attiene ai fatti e alla loro descrizione (…) bisogna porsi in una prospettiva spirituale. La conoscenza umana non è mai senza un apriori. L’uomo è fatto in modo tale che non può dare un senso alle cose senza scegliere prima una prospettiva secondo cui considerarle. Essa dovrà essere certamente giustificata, ma nessuno può farne a meno (…). La nostra prospettiva è quella della fede cattolica…”[7].
La fede cattolica ci dà dunque gli elementi ed il criterio che qualificano come cristiana un’esperienza mistica la quale si realizzi in un ambiente cristiano e da cristiani; cioè rispecchi e sia omogenea con quei valori cristiani perchè essa stessa possa essere considerata cristiana.
L’esistenza effettiva di cristiani mistici, riconoscibili e riconosciuti come tali, così che il loro modo di essere mistici sia individuabile con un modo cristiano di esserlo non può essere messa in discussione e ci pone di fronte ad un fenomeno storico valutato e riconosciuto: cosa caratterizza come cristiane queste persone di cui si può dire che vivono un’esperienza mistica? e perchè‚ la loro esperienza è giudicata – quindi – come autenticamente cristiana?
Infine possiamo anche chiederci se all’interno di questo fenomeno mistico cristiano si diano delle figure o dei modelli di esperienza mistica, se sia possibile cioè fare un discorso tipologico non solo storico ma che tratti di polarizzazioni direttive o di modi generali o fondamentali di configurarsi al fenomeno mistico cristiano: tutti coerenti – in ipotesi – con la sua essenziale struttura cristiana.
2. L’ESPERIENZA MISTICA CRISTIANA
2.1 DIVERSITÀ O UNIFORMITÀ DELLE ESPERIENZE MISTICHE?
Se bisogna intendere per “mistica” una certa perfezione raggiunta nella vita spirituale, una certa unione effettiva alla divinità, che per il cristiano non può trattarsi d’altro che dell’unione col Dio Tripersonale della rivelazione cristiana, unione realizzata in Gesù Cristo e per mezzo della sua grazia; e, nella prerogativa cattolica, che di questa grazia soprannaturale luogo normale è la Chiesa e le cui condizioni normali sono la vita di fede e i Sacramenti; ci domandiamo, prima ancora di fare della Chiesa il luogo privilegiato del “misticismo”: perchè‚ lo si trova dappertutto, e, con molta verosimiglianza, dappertutto lo stesso? C’è dovunque, prima di tutto, una certa indiscutibile uniformità di fenomeni psico-somatici, i “fenomeni mistici”, e in questo non sembra che i mistici cristiani siano diversi dagli altri. Ma questa uniformità di fondo del misticismo non sarebbe tuttavia insinuata da fatti più interiori? Si chiede Henry De Lubac: “In fin dei conti anche sotto la persistente varietà delle dottrine e degli itinerari, delle psicologie e delle interpretazioni, al di qua dei quadri tradizionali e dei condizionamenti sociali, ci si può chiedere che cosa ne è, al fondo, dell’esperienza stessa, nella sua inafferrabile nudità”[8]: la diversità, dunque, non sarebbe che in superficie, negli elementi di ogni specie che il mistico trae per altro della sua vita profonda: “Diversità e opposizioni non cadrebbero forse, se, per impossibile, tutti i mistici fossero soltanto mistici?”[9]. La condotta abituale dei mistici rafforza questa tesi: da qualsiasi religione provengano essi si riconoscono e si uniscono al di sopra di tutte le mura dei culti positivi:“Io non sono né cristiano, né giudeo, né mazdeo, né mussulmano, – afferma il sufita Dj-elâl el Dûr Ruomi (1207 – 1273) – io appartengo allo Spirito supremo”[10].
2.2 INCONCILIABILITÀ TRA MISTICA E CRISTIANESIMO?
Le tesi sopra accennate stanno alla base delle dottrine con pretese esoteriche che proclamano “l’unità trascendente delle religioni”. Tesi a priori, facili, che si fondano su un esame superficiale dei testi, estrapolati dal contesto spirituale in cui sono immersi e su una carenza di attenzione alle differenze qualitative delle religioni in cui queste si situano.
Storici e teologi che sostanzialmente si rifanno alla tradizione protestante, al contrario, pongono una radicale inconciliabilità tra ogni misticismo e la fede cristiana.
Questa opposizione viene tradotta nel contrasto emblematico tra il profeta e il mistico. Mentre il profeta crede in un Dio concreto, vivo, personale, la divinità del mistico è l’Essere infinito, l’Unità indifferenziata. Ogni profeta grida con san Paolo: “Se qualcuno vi annuncia un altro Vangelo, sia anatema!”(Gal 1,8); ogni mistico è invece segretamente portato a dire il contrario: questo perchè‚ gli è impossibile attaccarsi in modo esclusivo ad una qualche forma positiva di religione. Il profeta crede a quel male morale che è il peccato, è l’uomo della scelta senza compromessi. Il mistico invece non conosce per sè nè le crisi della coscienza morale, nè gli spasimi della conversione: per lui esistono solo gradi diversi di un processo di maturazione spirituale.
Il profeta riceve e trasmette la Parola di Dio, cui aderisce con la fede; il mistico è sensibile ad una luce interiore che lo dispensa dal credere. La fede, per conservarsi pura, deve proteggersi dalle infiltrazioni mistiche come dal più dannoso veleno.
2.3 RELATIVITA’ DELL’ESPERIENZA MISTICA CRISTIANA
Senza contestare quella parte di verità che può esserci nell’una o nell’altra di queste tesi, il cattolico non le condivide. Mentre osserva di fatto, fuori dal clima cristiano, una certa unità del misticismo, riconosce che questo misticismo, a volte sublime, così come è, è incompatibile con la sua fede.
L’esperienza mistica non è la cosa essenziale nel cristianesimo, e non è necessariamente il dono più alto. L’essenziale è la carità, sulla quale soltanto viene misurata la perfezione, come vedremo in seguito. La religione cristiana, dunque, non è una religione mistica, fondata sulla mistica; non è un programma di ascesi che sottomette a poco a poco l’uomo all’influsso della divinità. D’altro canto, il tipo di profeta che si offre da contrasto al mistico è più un tipo formale che storico: anzi, notiamo dalla Bibbia che gli stessi profeti annunciano e prefigurano i mistici cristiani, a volte sono nello stesso tempo profeti e mistici.
Sono necessarie quindi due distinzioni fondamentali: la prima è che non vi si può opporre un misticismo “tipo” proprio in base a questa distinzione qualitativa tra le varie mistiche di cui stiamo parlando. In secondo luogo c’è da notare che il profetismo ebraico non poteva essere “mistico” proprio perchè la religione a cui è appartenuto ignorava i misteri, costretto nel suo rifiuto di legare la salvezza alla mediazione di un mistero[11].
2.4 ALLE ORIGINI: IL NUOVO TESTAMENTO CONOSCE L’ESPERIENZA MISTICA?
Ciò che non può essere ritrovato nella antica Legge se non allo stato di abbozzo o di promessa lo si potrà constatare nel Nuovo Testamento come profondamente attestato. Sul tronco dell’albero cristiano il misticismo non è un elemento tardivo – dirà Henry De Lubac[12]. Il Nuovo Testamento conosce l’esperienza mistica. Il discorso potrebbe svilupparsi eventualmente in un’altra direzione: quella della realtà di un’esperienza di questo ordine. Ora è indubbio che presentando l’esistenza cristiana, il Nuovo Testamento riprende e sviluppa la tematica della “conoscenza” di Dio, la quale non è pura “obbedienza” oggettiva ma esperienza di trasformazione dell’uomo e di comunione con il Padre e con Cristo che viene operata dal dono dello Spirito e dalla presenza – realizzazione del dono sintetico, complessivo che è l’agape (carità).
Ciò che ha importanza per in Nuovo Testamento è dunque la vita cristiana come “conoscenza”, e non la modalità eventualmente “mistica” di tale “conoscenza”. Se un’eventuale esperienza “mistica” nel cristianesimo potrà mostrare di essere “conoscenza” del Dio della nuova Alleanza in Gesù Cristo, tale esperienza potrà essere accolta. In questo senso si può dire, come accennato sopra, che la mistica viene relativizzata, smitizzata e sottoposta a discernimento in base a criteri direttivi.
3. MISTICA E MISTERO CRISTIANO
3.1 PASSIVITÀ COME CAPACITÀ DI INTIMA ACCOGLIENZA
Per tentare di focalizzare appieno l’essenziale della posizione cattolica, diremo che esso consiste nel rapporto che si instaura tra la mistica e il mistero. L’uomo, ci dice la Bibbia, è creato ad immagine di Dio, ciò che la tradizione commenta dicendo che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine in vista di ricondurlo alla sua rassomiglianza, che deve compiersi nella “visione beatifica”. Questa rassomiglianza divina dev’essere realizzata sotto l’azione dello Spirito Santo, in dipendenza dall’Incarnazione redentrice, mediante l’imitazione del Cristo, per mezzo dell’unione con Cristo, dove si trova l’unione divina.
L’aspirazione mistica è inerente alla natura umana, perchè‚ l’uomo è fatto per questa unione: è come una certa capacità di intima accoglienza. Verrà da obiettare che l’esperienza mistica, intesa come incontro personale con il Dio vivo, essendo appunto un atto personale e dinamico, non si potrà ridurla ad uno stato puramente passivo: sarebbe distruggerne il senso genuino. Tuttavia la persona sperimentando, accogliendo il mistero, agisce; è passiva ed attiva ad un tempo. Scrive Ermanno Ancilli: “Vi è una passività – passiva quando la persona è dominata dalle cose e si limita a sopportare il loro influsso; v’è una passività – attiva o recettiva quando la persona accoglie e fa sue le influenze esterne incanalandole nell’ambiente della sua vita”[13]. Infatti al mistico cristiano non è preclusa la libertà: egli non è un automa e rimane consapevole di poter anche resistere alla mozione divina, almeno per quanto riguarda l’essenza della comunicazione divina. Nell’esperienza mistica libertà ed azione divina non sono viste come due forze con correnti.
L’illusione in cui si può incappare, col suo corteo di deformazioni o di varie corruzioni, è appunto il vedere questa facoltà d’accoglienza senza la sua correlazione col mistero.
Questa passività di fondo è essenziale perchè il mistero è accolto e non può essere che accolto. Nella sua ultima fase di realizzazione, il misticismo naturale sarebbe un “misticismo puro”; al limite non riconoscerebbe a se stesso alcun oggetto; sarebbe in qualche modo l’esperienza mistica ipostatizzata: ciò che sembra essere la forma più profonda di ateismo[14].
Lungi dal voler sfuggire all’ordine della fede, la mistica cristiana è dentro la logica della vita di fede. Non si nutre di altro: essa accoglie il mistero non perchè venga professato con le labbra nè perchè venga compreso dalla sola intelligenza ma perchè sia vissuto.
Al di fuori del mistero accolto dal credente, la mistica quindi si svuota o si degrada …in “misticismo”, si potrebbe dire. Al di fuori della mistica di una mistica almeno iniziale – il mistero, per contraccambio, si esteriorizza in pure formule ed astrazioni: non si tratterà del mistero di fede interiorizzato per fecondare tutta la vita. L’adesione spirituale al mistero si muterà in conformismo e chi si farà specialista del mistero sarà un “teorico di Dio” e non un vero “teologo”.
3.2 MISTICA E MISTERO: FECONDAZIONE E INADEGUATEZZA
Tra mistica e mistero così compresi riconosceremo, dunque, una reciproca fecondazione, perché il mistero alimenta la vita mistica e questa interiorizza incessantemente il mistero: essa lo rende vivente in colui che lo riceve; ma anche inadeguatezza: anzitutto perchè‚ il mistico sente che il mistero, al fondo indicibile, oltrepassa sempre infinitamente l’esperienza che in esso si ha o se ne può avere. Molti mistici, per esempio, nel descrivere le proprie esperienze, spesso si rifanno al linguaggio ed alle metafore di Dionigi Areopagita (V-VI sec.), divenuti i termini classici della teologia mistica. A lui infatti la letteratura cristiana deve il concetto paradossale della divinità come “divina tenebra”, della “negazione di tutto ciò che è”, vale a dire di tutto ciò che è concepito dalla coscienza superficiale, ed anche l’idea del raggiungimento dell’Assoluto, da parte dell’anima, come un’“ignoranza divina”, per via di negazione.
Sempre il mistero sovrasta il mistico; comanda la sua esperienza, ne è la sua norma assoluta: “…conoscerete l’amore del Cristo che sorpassa ogni conoscenza e sarete ripieni di tutta la Pienezza di Dio”(Ef 3,19).
L’esperienza mistica del cristiano è un approfondimento della fede: più si approfondisce, più comporta quel movimento intenzionale che conduce il mistico al di là di se stesso, nella direzione della Sorgente che non cessa di colmare il suo vuoto: da qui l’impossibilità d’adeguazione al mistero.
L’interiorizzazione attraverso la mistica è una esigenza dello stesso mistero, è la legge della vita cristiana, la condizione del suo progresso. Non si tratta di un tentativo di evasione attraverso l’interiorità: si tratta del cristianesimo stesso.
3.3 LA TENTAZIONE GNOSTICA
Al di fuori della rivelazione divina lo slancio mistico tende ad oltrepassare il dato iniziale, la religione positiva, il mito, che gli è servito da trampolino. L’apparato esteriore del sistema religioso vien buttato via dal mistico come un guscio vuoto, pur restando indulgente con coloro che, non essendo arrivati al suo livello di interiorità, ne hanno ancora bisogno. Questa sembra anche la tendenza o se si vuole, la tentazione di Eckart o di Taulero che parlano di una generatio aeterna‚ di Dio nella profondità dell’anima per cui l’evento dell’Incarnazione di Dio nella storia, può in definitiva, non essere altro che una parabola che rispecchia il proprio destino. Molti mistici cristiani hanno creduto il loro itinerario spirituale come un itinerario di introversione, mediante il distacco ed il superamento di ogni “molteplicità“ e di ogni mediazione, ivi compresa la mediazione stessa di Cristo, della parola ispirata, dei sacramenti, della Chiesa. Ed in questo vi vediamo una eterna tentazione gnostica.
Un’autentica esperienza mistica cristiana porta in sè stessa la coscienza che è quella realtà a cui si aderisce per fede che è portatrice di un frutto universale. Il mistico sa che questa sua esperienza è sempre in totale dipendenza di un mistero unico infinitamente fecondo.
3.4 MISTICA E VITA CRISTIANA
Arrivati alla conclusione che l’esperienza mistica può essere manifestazione di un modo particolare di entrare in rapporto col mistero di Dio rivelato ed accettato dalla fede, ci poniamo il problema della cosiddetta vocazione alla mistica: cercare di stabilire, cioè , se ed in quale misura l’essenziale della vita mistica deve considerarsi l’espressione matura della vita cristiana in quanto tale, ed essere quindi ritenuto il criterio concreto di perfezione. La ricerca di una spiegazione teologica del “fatto” è stata oggetto di laboriose indagini. Esse sono normalmente caratterizzate dalla preoccupazione di individuare il principio dinamico soprannaturale di tale esperienza. Possiamo dire che l’orientamento delle scuole domenicana, carmelitana e ignaziana, concorda nel considerare la contemplazione mistica “infusa” come espressione particolare della vita teologale, anzi formalmente come attività di fede.
Sono così comunemente ritenute come superate o escluse le spiegazioni che ricorrevano sia ad una partecipazione della conoscenza angelica, tra cui quelle di A. Saudreau e A. Mager[15], sia ad una infusione di nuove “species” o di nuovi “sensi”, come in A. Poulain; e sia infine la possibilità di una partecipazione transitoria di un “lumen gloriae” con una conseguente visione immediata di Dio, tesi proposta da L. Reypens e J. Marechal.
Il fatto mistico va dunque ritenuto, come dicevamo, interiormente omogeneo con i principi della vita cristiana: per quanto statisticamente eccezionale, esso non rappresenta un miracolo e neppure richiede una nuova struttura soprannaturale nel cristiano. Dunque il cristiano deve essere mistico? Alcuni teologi – particolarmente “tomisti”- rispondono affermativamente: l’esperienza mistica, la “contemplazione infusa” è in linea di diritto il coronamento della vita cristiana.
Nella scuola carmelitana il problema è stato situato nel quadro – per essa tradizionale – della distinzione (e dei rapporti) tra contemplazione “acquisita” ed “infusa”. La vita cristiana evolverebbe normalmente nel senso di una esperienza contemplativa: in tutti, tale esperienza dovrebbe raggiungere almeno una fase iniziale in cui l’anima è ancora chiamata a collaborare attivamente (il linguaggio è descrittivo) alla grazia che pone in attenzione contemplativa. In questa attività di orazione, dunque, vengono collocate e si riconducono esclusivamente le ripercussioni anche psicologiche dell’evoluzione interiore di un anima, la quale maturando passa appunto da una orazione “discorsiva” ad una orazione “contemplativa”. Osserva G. Moioli a riguardo che ciò può suggerire un’impressione di un certo schematismo, e di una valutazione dell’orazione mentale come conditio sine qua non per accedere ad una esperienza che dovrebbe misurare l’approfondirsi complessivo della vita cristiana, cioè della fede, speranza e carità[16].
Tra i gesuiti infine si è tenuto a sottolineare che in questo processo di sviluppo la contemplazione mistica dipende dalla assoluta libertà del dono divino[17].
Tuttavia la comune convinzione circa l’omogeneità della esperienza mistica propriamente detta con la normale struttura dell’organismo soprannaturale, non si equivale all’affermazione che tale esperienza rappresenti la manifestazione necessaria della maturità cristiana. Infatti il giusto apprezza mento del ruolo sempre dominante del mistero, ci aiuta a comprendere che lo spirituale cristiano non è alla ricerca di una “esperienza” per se stessa. Dire in effetti che il mistero comanda ed oltrepassa sempre la mistica, equivale a dire che la vita mistica non è rivolta dalla parte di un’esperienza desiderata come fine, ma che, come sviluppo della vita cristiana, essa si definisce anzitutto per il triplice ed unico rapporto che si realizza nella fede, nella speranza e nella carità[18].
4. LA MISTICA E LE MISTICHE CRISTIANE
Se ci si pone dal punto di vista delle contingenze umane, storiche, sociali, psicologiche, si osserveranno molti modi di interiorizzazione del mistero, e si distingueranno quindi, all’interno dello stesso cristianesimo molte specie di mistiche. Ma queste apparenze che provengono dalla diversità delle situazioni di base, non impediscono l’unità di visuale, quindi l’unità fondamentale della mistica cristiana.
Questa risulta da un lato dall’unità della natura umana considerata nella sua vocazione divina, dall’altro lato dall’unità del mistero attraverso il quale questa vocazione si compie. Tutte le vie spirituali autenticamente cristiane devono riconoscersi convergenti almeno in questo.
Abbiamo accennato sopra che certamente l’esperienza mistica non è la cosa essenziale nel cristianesimo, e non è necessariamente il dono più alto. L’essenziale è la carità, sulla quale soltanto viene misurata la perfezione. Di qui l’importanza per il cristiano, e per lo stesso mistico, di “inseguire” non l’esperienza mistica ma la carità[19].
Misurata sulla carità, l’esperienza mistica cristiana deve insomma mostrare di essere conoscenza del “Mistero della carità”. L’esperienza cristiana è puro dono di Dio.
Questa gratuità‚ ridimensiona e quasi rifiuta tutte le varie tecniche e lo sforzo umano per raggiungere gli stati d’unione. L’uomo biblico non prende l’iniziativa per ottenere particolari esperienze religiose o un’immersione mistica in Dio, ma è Dio stesso che va per primo in cerca dell’uomo, esigendo però da lui una pronta disponibilità all’ascolto ed all’atteggiamento di fede.
La mistica cristiana non è una fuga dalla materia concepita come essenzialmente cattiva per diventare dei “pneumatici” e raggiungere l’unione con Dio. Nel cristianesimo non c’è diastasis tra spirito e materia: il mondo appartiene a Dio, è stato posto da Dio e giudicato “molto buono”(Gn 1,3). E se il mondo con il peccato si è distaccato dal suo creatore, è stato riconciliato con lui attraverso l’incarnazione e l’evento pasquale di Gesù. Quindi la mistica cristiana non impone all’uomo di liberarsi dalla materia, di abbandonare se stesso, ma di lasciarsi assumere da Dio, che lo genera di nuovo e gli dona la partecipazione alla sua stessa vita.
Tuttavia non sempre così si è inteso questo ordine di cose: sulla scia, per esempio, di Filone Alessandrino o di Origene la teologia della mistica cristiana ha – per così dire – camminato sul filo del rasoio, accogliendo almeno in parte l’antinomia di origine platonica “corpo – anima”, “celeste – terrestre”, “materiale – spirituale”. Senza dubbio il discorso non è semplice ed anzi richiede accurati approfondimenti e chiarificazioni. L’esperienza mistica, in un certo senso, richiede sempre un’ “extasis”, un “uscire da”. Questa sarà un’estasi, un’allontanarsi principalmente dalla corporeità vista come luogo di passioni, che disturbano e non permettono l’esperienza; oppure da una materialità vista come ombra. L’importante è che non si scivoli in una interpretazione tout-court negativa del mondo, propria di una sensibilità platonico – gnosticheggiante.
Nella mistica dell’immagine e della rassomiglianza‚ tema tratto dalla lettura di Gn 1,27, l’“immagine divina” è inalienabile in ogni uomo ma l’unione con Dio è una unione di rassomiglianza. Il senso di questo processo è l’offerta di una comunione – divinizzazione‚ all’uomo peccatore, per riportarlo ad essere non solo “ad imaginem”, ma anche “ad similitudinem”. Tuttavia ci può essere una mistica della sola immagine ma questa non sarebbe altro che una presa di coscienza di sè, del fondo dell’essere, senza l’intervento di grazia di Dio con il dono del mistero e, per quel che riguarda l’uomo, al di qua dell’esercizio della libertà morale e delle virtù. Essa tende per la sua logica interna, al quietismo donde le due forme sotto cui si manifesta: la sensualità e l’orgoglio spirituale di colui che vuole realizzarsi (o superarsi) senza ricevere da Dio la sua forza e il suo alimento. Sarà questa propria delle forme di religiosità mistico – immanentistiche, cosmico – vitalistiche, dominate da una nostalgia del ritorno verso una fallace unità primordiale. La mistica della rassomiglianza è, invece, per se stessa proiettata in avanti, verso un fine, verso Dio che chiama e attira al termine del cammino. Suppone un cammino che non può mai dirsi compiuto. Poichè la mistica cristiana si sviluppa sotto l’azione del mistero ricevuto nella fede, mistero che è quello dell’incarnazione del Verbo di Dio rivelato nella Scrittura, essa sarà essenzialmente una intelligenza della Sacra Scrittura. Il mistero ne è il senso, la mistica ne è l’intelligenza.
La mistica cristiana, naturalmente portata ad esprimersi attraverso i simboli – tiene molto al simbolismo del “matrimonio spirituale”. Questo simbolismo manifesta un carattere essenziale della mistica cristiana considerata non solo nel suo divenire ma nel suo più alto vertice. Perchè tra l’anima umana e il suo Dio, come nelle nozze tra la Chiesa e l’Agnello, si tratta sempre dell’unione, non dell’assorbimento; se si vuole, di unificazione, ma non di identificazione. Si tratta di mutuo amore.
Da ciò che abbiamo visto segue che la mistica cristiana è necessariamente una mistica ecclesiale , poichè l’Incarnazione realizza innanzitutto, nella Chiesa, le Nozze del Verbo e dell’umanità. La mistica non cristiana – e qui ci riferiamo particolarmente all’ellenismo – è individualistica, finalizzata unicamente al rapporto con Dio, cioè afferma la superiorità dell’intimo e del privato sopra l’esterno e il sociale.
Per l’autentica mistica cristiana, l’atto della contemplazione non si restringe al rapporto con Dio, ma ha un profondo, nascosto influsso sulla Chiesa e sull’umanità.
La mistica cristiana accentua in effetti maggiormente il carattere di alleanza e di comunione fra Dio e l’uomo, tipico della spiritualità Veterotestamentaria: a questa il cristianesimo sovrappone la forma dell’unione con Dio nella persona di Gesù Cristo che si realizza nell’unità interpersonale di tutti gli uomini in un Corpo mistico. Così il mistico cristiano non vive la sua esperienza di purificazione e di trasformazione solo per conto proprio, ma in Cristo e per Cristo, anche a favore dell’umanità intera. È questo uno degli aspetti più nascosti, ma più frequenti della mistica cristiana: la preghiera e la sofferenza del contemplativo ottengono anche per gli altri la grazia di volgersi verso Dio nella pienezza del suo mistero.
Parimenti, la mistica cristiana è una mistica trinitaria, poichè in Gesù Cristo, tutta la Trinità si rivela e si dona.
Il nostro Dio non è quell’Infinito, tanto indifferente quanto illimitato; non è l'”Onnipotenza”, o il “luogo delle possibilità infinite, il centro-oscuro dell’essere o del non-essere. Il Dio che noi adoriamo e che vuole unirci a sè, non è un Dio senza immagine; non è un infinito di dispersione ma di concentrazione: in Lui si condensa il mistero dell’essere personale.
5. CONCLUSIONE: L’ESPERIENZA MISTICA COME PROBLEMA CRISTIANO
Questi sono i tratti fondamentali da cui si riconosce la mistica cristiana. Sono i tratti che definiscono ogni realtà cristiana. In Gesù Cristo noi abbiamo la rivelazione perfetta, definitiva, dell’essere umano come essere personale. La rivelazione di Dio all’uomo fu al tempo stesso rivelazione di un rapporto tra Dio e l’uomo. Ora ciò che riguarda uno dei termini, riguarda anche l’altro: nello stesso tempo in cui Dio si rivela nel suo essere Tripersonale, intervenendo nella nostra umanità, rivela noi a noi stessi come esseri personali capaci di rispondergli, per sua grazia, nell’amore. Ciò che noi, nella Chiesa cattolica, chiamiamo mistica non è che l’attualizzazione cosciente di questo dono di Dio.
BIBLIOGRAFIA
G. DI S. MARIA MADDALENA G. OGGIONI, La teologia della mistica, in AA. VV., “Problemi e orientamenti di teologia dogmatica”. II, Milano 1957, p. 1017 1068
H. DE LUBAC, Mistica e mistero, in “Mistica e mistero cristiano”, Milano 1979, p. 3 38
G. MOIOLI, Mistica cristiana, in “Nuovo dizionario di spiritualità”, a cura di S. DE FIORES T. GOFFI, [Roma 1979], p.985 – 1001
E. ANCILLI, La mistica: alla ricerca di una definizione, in AA. VV., “La mistica, Fenomenologia e riflessione teologica”. II, a cura di E. ANCILLI M. PAPAROZZI, [Roma 1984], p.17 40
Note
[1] D. BARSOTTI, Vie mystique et mystére liturgique (traduzione dal francese), a cura di M. F. Moos – C. Renard, 1957, p. 17
[2] A. STOLZ, La scala del paradiso. Teologia della mistica, [Brescia], Morcelliana, [1979, 3 ed.]
[3] Cf STOLZ, p. 102
[4] Cf ANCILLI, p. 36
[5] Cf MOIOLI, p.993
[6] ANCILLI, p.26
[7] H. DE LUBAC, Mistica e mistero, in “Mistica e mistero cristiano”, Milano 1979, p. 7
[8] DE LUBAC, p. 11
[9] DE LUBAC, p. 11
[10] DE LUBAC, p. 11
[11] DE LUBAC, p. 16
[12] DE LUBAC, p. 16
[13] ANCILLI, p.28
[14] Cf DE LUBAC, p. 20
[15] G. DI S. MARIA MADDALENA, p. 1034
[16] G. MOIOLI, Il problema della teologia spirituale, “La scuola cattolica”, 94, 1966, Supp. bibl., p. 7 – 16
[17] cf. MOIOLI, Il problema… , p. 13
[18] DE LUBAC, p.3
[19] Cf 1 Cor 13