Il credente di fronte al fenomeno della secolarizzazione [1]
La ricerca sul fenomeno della secolarizzazione impone una previa distinzione circa il metodo da adottare: la ricerca del credente è diversa da quella dell’ateo. Quest’ultimo vi troverà in ciò la conferma della sua “fede” atea, e che “il secolo” inghiotta l’uomo gli pare un naturale ed ineluttabile processo. L’interesse di chi ha una fede in senso proprio è il sapere come, nonostante Dio, questo accada.
La ricerca valida é quella spoglia di ogni presupposto? Non è possibile: qui il ricercante e l’interesse della ricerca si identificano. É tuttavia necessario evitare che questa precomprensione non si trasformi in pregiudizio. Il metodo della ricerca che si muove dalla e nella fede in Dio arriverà a questa conclusione: se io credo, Dio mi è necessario. Da ciò si impone che se Egli è necessario a me che sono fra tutti, io lo trovi necessario anche a tutti e per tutti. E tuttavia la secolarizzazione dilagante sembra assicurarmi del contrario: il ripudio di Dio che essa rappresenta appare vistoso: Dio non sembra così necessario a tutti come pur tuttavia io lo ritengo necessario per me.
Che fine ha fatto Dio – al contrario – presso coloro che lo negano? “Secolarizzazione” non è forse un altro nome per dire “Ateismo”? Si può non pensare Dio, oppure, pensare che Dio non esista? Un equivoco di fondo dei negatori di Dio verte sul concetto di natura (o di Natura). La natura che dovrebbe sostituire Dio non è ancora Dio? – ad essa l’ateo attribuisce i compiti di Dio: la tragedia dell’ateo è che egli non può trovare Dio perché già lo ammette sotto un altro nome. Dio infatti sta là, ma è imbavagliato, anestetizzato, la trascendenza è vestita di immanenza. L’operazione dell’ateo, tuttavia, porta a spersonalizzare Dio. É un Dio che non parla, non disturba…
Kant e Dewey. Immanuel Kant ci aiuta a compiere un ulteriore passaggio: l’ordine della natura si riduce all’ordine soggettivo del pensiero. Sulla sponda scientifica si giunge quindi allo scetticismo; sulla sponda umanistica all’esistenzialismo. In Kant la coscienza è sola con se stessa e deve agire per se stessa – non può e non deve raggiungere Dio. John Dewey [2] quanto Kant tiene Dio distante: ciò è preparatorio alla negazione totale di Dio. Il “fenomeno” religioso è importante, necessario ma è immanentizzato.
Negazione di Dio. Ciò che il credente deve temere è che la negazione di Dio sia posta come condizione necessaria per la realizzazione dell’uomo, per l’espansione della sua libertà, per l’avveramento della sua dignità. Chi crede che l’espansione vitale dell’uomo avviene nell’infinito dell’amore di Dio, non può accettare la lezione di superiorità di una morale che si libera in un vuoto che l’accieca e verso una solitudine angosciante (anche qui riecheggia l’ideale kantiano del dovere per il dovere); non può accettare che la libertà, che è da Dio, diventi tra le mani dell’ateo qualcosa con cui contestare Dio. Egli – invece – può ammettere che il segreto della libertà è l’amore e che senza l’amore la sua fede in Dio, poiché non è fede nell’Amore, diventa obbedienza servile resa da uomini impauriti a un potere arbitrario [3].
[1] L. PESCE, Il credente di fronte al fenomeno della secolarizzazione, “Incontri culturali” 3 (1972) n. 2, p. 279 – 288
[2] JOHN DEWEY, Una fede comune, Firenze, Ed. Salani, 1959, p. 54
[3] DEWEY, p. 9
Francesco Pignatelli
© riproduzione riservata